“Perchè dovrei preoccuparmi?” L’istrione di Osborne

Istrione è l’attore che tende ad enfatizzare la propria recitazione per raggiungere facili effetti scenici e impressionare il grande pubblico.

“Se la mattina non ci disvela nuove allegrie e, se per la notte non coltiviamo nessuna speranza, a che vale la pena vestirsi e spogliarsi?”
-Goethe

The Entertainer (letteralmente l’intrattenitore) di John Osborne fino ad una settimana fa era un’opera a me sconosciuta. Tradotto in italiano “L’istrione”, la pièce di Osborne è ambientata in Gran Bretagna, in particolare nel dopoguerra; ci troviamo nella casa di Archie Rice, attore d’avanspettacolo ormai in declino e simbolo di un vecchio modo di fare spettacolo ormai passato di moda. Nonostante tutto, continua ad anelare al successo. Dopo il fallimento dell’ennesimo spettacolo, Archie progetta così un nuovo numero e per l’occasione scrittura una ragazza molto giovane, promettendo di sposarla se il ricco padre di lei li finanzierà. Il progetto però non andrà a buon fine e varie tragedie toccheranno la vita di Archie e della sua famiglia.

Archie è un attore, un one men show, e tale rimane dentro le mura domestiche dove schiera aneddoti e storielle come se il sipario non si dovesse mai chiudere. Lo spettacolo continua. Anche di fronte i fallimenti, le frustrazioni, lo spettacolo continua.

 “Why should I care? Why should I let it touch me? Why shouldn’t I Sit down and try To let it pass over me?” canta Archie

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“Perchè dovrei preoccuparmi? Perchè dovrei lasciare che la cosa mi tocchi? Perchè non dovrei sedere e provare che passi?” Questa è la filosofia di vita di Archie che di fronte le ingiustizie, le sconfitte della vita e l’alienazione sociale ha deciso semplicemente di non occuparsene, ha deciso di non cedere alla rabbia (di quei “giovani arrabbiati“) e alla disperazione. Archie intrattiene e con le sue chiacchere riempe un silenzio duro da sopportare.

Come un prestigiatore l’istrione distrae dal trucco in atto il suo pubblico (e la famiglia) con le movenze e con una parlantina sciolta , ed intrattiene anche se stesso affinchè la magia possa riuscire.

“Qual è il senso della disperazione se ti ritengono poi uno “quadrato”? Tu sei da tempo morto- come il mio vecchio amico Fred.”

Questa è la tragedia che consuma l’animo di Richie: la perdita di speranza. E in assenza di speranza, di un animo fiducioso che può attendere perchè confida in sè e nel mondo esterno e dunque nella realizzazione dei propri desideri, il senso delle cose rischia di perdersi e naufragare, tutto diventa vuoto.

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“Quando vedono che sei triste (“blue”) ti guardano dall’alto in basso. Perchè allora dovrei prendere la briga di curarmene?” Nel mondo di Richie non può esserci posto per la tristezza. Essere triste vorrebbe dire non stare più sotto i riflettori, vorrebbe dire scendere dal palco; l’istrione trasforma il mondo nel suo palco così da averne il controllo, così da poter gestire le sue emozioni. E se non riesce, Archie trova nell’alcol un sostegno.

L’istrione si trova a vivere una vita di finzione, inautentica e sradicata dalla realtà. Prendere atto degli eventi, della situazione e delle proprie emozioni è il primo passo per un incontro reale e autentico. Non dico che sia facile. È un atto di coraggio vedere le proprie desolazioni e macerie disseminate dentro e fuori di noi; e anche la rabbia,  vuole forse trasmetterci Osborne, è un primo passo per ritrovare la speranza e lottare in sua difesa.

La speranza è quella cosa piumata
che si posa sull’anima
canta melodie senza parole
e non smette mai.
-Emily Dickinson

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